LA PRESENZA ASSENTE DELLA POESIA
Di MARIA TERESA LIUZZO – Italia
:Traduzione in Arabo TAGHRID BOU MERHI
Tutta l’esperienza della poesia esige sempre una radicale solitudine e al tempo stesso un irresistibile desiderio di comunicazione. Come si potrebbe spiegare questo paradosso? – Questa coesistenza fra qualcosa che ci rinchiude nell’intima profondità di noi stessi e che simultaneamente ci trascina al di fuori? – Crediamo che sia impossibile rispondere a questa domanda, che certamente molti poeti si saranno posto in qualsiasi tempo. Noi cerchiamo di conciliare due diversi punti di vista uno che si rifà al mito più p meno romantico denominato mondo interiore – dove è necessario accogliere le passioni, dare libero corso ai suoi imperativi verso il corpo o verso l’anima – e dall’altro lato quello a cui allude Blanchot, quando parla di sentimento dell’esteriore: un esteriore che ci lascia spossessati di qualche frontiera della coscienza, esercitando sopra di noi il suo potere e inviandoci il suo appello senza risposta. Per noi è grazie alla poesia che forse, in certi momenti sembra che la contraddizione si annulli; ma attraverso quali processi? sarebbe ora necessario, per esempio ritornare ai dati apparentemente insignificanti della realtà, ai particolari quotidiani, e facilmente riferibili; porre l’attenzione a quella denominata poesia dell’esperienza? Potremmo rispondere affermativamente – poiché un testo può essere riversato in altri testi e i valori emozionali trasferiti ai lettori – ma senza dimenticare che non esiste una vera e propria trasparenza ( neanche nello stesso realismo ) e che gli elementi di verità che si irradiano dalla migliore poesia vivono sempre di qualcosa che oltrepassa la semplice dimensione del reale. Elementi che si fermano sul limite di un mistero senza nome, la cui voce ci interroga e ci lascia sospesi in una indefinibile promessa. Nel frammentario e relativo rifugio che il lirismo ancora oggi piò offrire, il valore della poesia dipende da qualcosa di simultaneamente sconosciuto e familiare, una specie di impulso che nello stesso movimento ci esalta e ci ritorna – dentro. Si tratta di un valore che si insinua nell’interiorità di ciascuna parola o di ciascun verso, ma soltanto nella misura in cui esprime una parola individuale, un universo personale di ciascuno. E, tuttavia, nonostante quest’imprescindibile segno della personalità, siamo convinti che la cosa più importante si gioca nella fedeltà a un mistero, a certe coniugazioni di forze, a qualcosa che corrisponde appena al nostro corpo e a quello che non sappiamo che chiamare l’io. Un grande poeta, forse Jan Skacel scrisse: I poeti non inventano le poesie / la poesia sta dietro da qualche altra parte! Sta lì da molto tempo / il poeta non fa altro che scoprirla. Ed è una visione certamente platonica, d’altra parte Arhur Rimbaud, in proposito disse che Io è un altro, nel senso che il poeta assiste al nascere della poesia e che ogni cosa perviene al di fuori di sé. Considerando questi versi, per la sensazione di certezza che a volte nasce da una poesia e ci proietta fuori di noi, lasciandoci una percezione indipendente dallo spazio e dal tempo concreto, intuiamo il senso di ciò che ci muove e che si muove che ha come fine quello di sfuggirci. Per Blanchot, scrivere è portare in superficie il senso assente, e di fatto, il senso si promette alla poesia come la presenza rimandata si un’assenza, che si dispone nella misura secondo cui crediamo o vogliamo possederla – come se la scala di Jacob fosse aumentata sempre più di nuovi gradini, secondo il nostro desiderio di salire. Abbiamo tentato di seguire un itinerario, con l’intenzione di non drammatizzare eccessivamente questi assunti, anche perché la vita ride di tutto ciò che ci fa piangere o perché mentre gli uomini pensano Dio sorride, secondo un vecchio proverbio giudeo. Nello scrivere sotto il salutare sorriso di Dio, ci convinciamo che la poesia consiste in una forma di memoria o di messaggio indefinito: memoria, perché ricorre ad anamnesi sufficientemente dense per permetterci una nebulosa contemplazione delle gioie e delle tristezze che il tempo sa monotonamente rinnovare: ed è messaggio, perché stabilisce una apertura senza limiti, una relazione asimmetrica e non reciproca con un’alterità che ci gira intorno, senza fornirci nulla di specifico, per non cercare di appagare il nostro desiderio, essendo la scala di Jacob una scala senza fine…
الحضور الغائب للشعر
مقال بقلم الشاعرة الإيطالية ماريا تيريزا
ترجمة الشاعرة والمترجمة اللبنانية البرازيلية تغريد بو مرعي
إنّ التجربة الشعرية بأكملها تتطلب دائمًا عزلة جذرية، وفي الوقت نفسه، رغبة لا تُقاوَم في التواصل. فكيف يمكن تفسير هذا التناقض؟ كيف يمكن فهم هذا التعايش بين شيءٍ يُغلِقنا داخل أعماقنا الحميمة وبين شيءٍ يدفعنا إلى الخارج في الوقت ذاته؟ نعتقد أنه من المستحيل الإجابة عن هذا السؤال، وهو سؤال لا شك في أن العديد من الشعراء قد طرحوه على أنفسهم عبر العصور.
نحن نحاول التوفيق بين وجهتي نظر مختلفتين: الأولى تستند إلى الأسطورة الرومانسية التي تُعرف بالعالم الداخلي، حيث يكون من الضروري احتضان العواطف وإطلاق العنان لضروراتها سواء تجاه الجسد أو الروح، أما الثانية، فهي تلك التي يشير إليها بلانشو حين يتحدث عن “إحساس بالخارج”، ذلك الخارج الذي يسلبنا جزءًا من وعينا، ويمارس علينا سلطته، ويرسل إلينا نداءً بلا إجابة.
بالنسبة لنا، ربما يكون بفضل الشعر وحده، في لحظات معينة، يبدو أن هذا التناقض يتلاشى، ولكن بأي آليات؟ هل يجب علينا، على سبيل المثال، العودة إلى تفاصيل الواقع التي تبدو غير ذات أهمية، إلى التفاصيل اليومية الواضحة؟ هل علينا أن نولي اهتمامًا لما يسمى بـ”شعر التجربة”؟ قد تكون الإجابة نعم، لأن النص يمكن أن ينتقل إلى نصوص أخرى، والقيم العاطفية يمكن أن تنتقل إلى القرّاء، ولكن لا ينبغي أن ننسى أنه لا توجد شفافية مطلقة (حتى في الواقعية نفسها)، وأن العناصر الحقيقية التي تنبع من أفضل الشعر تعيش دائمًا على شيء يتجاوز البعد البسيط للواقع.
هذه العناصر تقف عند حدود لغزٍ بلا اسم، لغزٍ يطرح علينا تساؤلاته ويتركنا معلقين في وعدٍ غير محدد. وفي هذا الملجأ المجزأ والنسبي الذي لا يزال الغنائية قادرة على تقديمه اليوم، يعتمد جوهر الشعر على شيءٍ مجهولٍ ومألوفٍ في آنٍ واحد، على نوعٍ من الدافع الذي، في نفس الحركة، يرفعنا ويعيدنا إلى الداخل.
إنه جوهرٌ يتسلل إلى أعماق كل كلمة وكل بيت شعري، ولكنه يظهر فقط بقدر ما يعبر عن صوتٍ فردي، عن كونٍ شخصي لكل شاعر. ومع ذلك، وعلى الرغم من هذه السمة الحتمية للشخصية، فإننا مقتنعون بأن الأهم يكمن في الإخلاص للغز، للتفاعل بين قوى معينة، لشيءٍ لا ينتمي فقط إلى أجسادنا بل أيضًا إلى ما لا نعرف كيف نسميه بـ”الأنا”.
لقد كتب شاعر عظيم، ربما يان سكاسل، ذات مرة:
“الشعراء لا يخترعون القصائد،
الشعر موجود في مكانٍ آخر،
موجود هناك منذ وقتٍ طويل،
والشاعر لا يفعل شيئًا سوى اكتشافه.”
وهذه رؤية بلا شك أفلاطونية. من ناحية أخرى، قال أرثر رامبو:
“أنا هو آخر.”
بمعنى أن الشاعر يشهد ولادة القصيدة، وكل شيء يأتي من خارج ذاته.
عند تأمل هذه الكلمات، ندرك اليقين الذي تولّده بعض القصائد، ذلك اليقين الذي يدفعنا خارج أنفسنا، ويمنحنا إدراكًا مستقلًا عن الزمان والمكان، فنشعر بأن شيئًا ما يحرّكنا، لكنه في ذات الوقت يهرب منا.
بالنسبة لـ بلانشو، الكتابة هي جلب المعنى الغائب إلى السطح. في الواقع، المعنى يتجلى في الشعر كحضور مؤجل لغياب، يتخذ مكانه وفقًا لإيماننا به أو رغبتنا في امتلاكه، كما لو أن سُلَّم يعقوب يزداد طولًا مع كل خطوة نصعدها، وفقًا لرغبتنا في الوصول إلى القمة.
لقد حاولنا رسم مسارٍ دون المبالغة في درامية هذه التأملات، لأن الحياة تضحك على كل ما يجعلنا نبكي، أو لأن الله يبتسم بينما يفكر البشر، وفقًا لحكمة يهودية قديمة.
وفي ظل هذا الابتسام الإلهي العذب، نقتنع بأن الشعر شكلٌ من أشكال الذاكرة أو رسالة غير محددة:
ذاكرة، لأنه يستحضر استرجاعًا كثيفًا يسمح لنا بالتأمل الضبابي في الأفراح والأحزان التي يجد الزمن دائمًا طريقةً لتكرارها.
ورسالة، لأنه يفتح أمامنا أفقًا بلا حدود، وعلاقةً غير متماثلة مع “آخر” يحيط بنا، دون أن يمنحنا شيئًا ملموسًا، ودون أن يسعى لإرضاء رغباتنا، لأن سُلَّم يعقوب لا نهاية له…
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